Come le società gestiscono l'informazione
La trasformazione delle differenze in "verità" e ordine
1. Gestione dell’informazione = più gerarchie
L’informazione viene generata dalla complessità di tutti i sistemi, incluse le società, che nella loro evoluzione adottano metodi per gestirla. La quantità di informazione che le società sono in grado di mediare e trasmettere correla fortemente con il grado di gerarchie territoriali, militari o amministrative che sono in grado di gestire. La figura mostra molto bene questo rapporto, presente fin dall’inizio nei dati raccolti nel Chronos dataset.
Inoltre la gestione dell'informazione è la dimensione della storia che correla maggiormente con l’accesso alla ricchezza, anche se soltanto al 67%. La figura mostra infatti che circa tra il 2000 a.C. e il 1700 d.C. l’andamento della diffusione dei meccanismi di redistribuzione della ricchezza sono andati per conto loro rispetto alla gestione dell’informazione, inseguendo più la religione.
2. Il modello di Harari
Quando una società cresce, che sia per conquiste militari, per un boom demografico o per immigrazioni, la complessità dell'informazione in circolazione aumenta. In pratica aumentano le persone, con le loro competenze, credenze e visioni del mondo. La mediazione di contenuti informativi consente alle società di gestire la complessità di queste visioni del mondo differenti. Yuval Noah Harari ha proposto un modello molto interessante di come questo avviene, e lo ha confrontato con la visione populista e la visione democratica della gestione dell’informazione:
L’informazione, considerata come entropia generata dalla coesistenza di differenze culturali, tende a creare delle “camere dell’eco” comunicative, ovvero delle reti più o meno piccole che condividono la stessa subcultura. La visione democratica dell’informazione vede un valore nelle differenze culturali ma riconosce anche che per avere coesione è necessario trovare un interesse comune alla maggior parte della società, una “verità” intersoggettiva che possa guidare le azioni di governo (ruolo dello stato) e la ricerca di soluzioni ai problemi (ruolo delle élite), distribuendo in modo equilibrato i poteri tra le diverse subculture. Anche le democrature condividono parzialmente questa visione, con la differenza che la cultura del gruppo dominante detta la “verità“ a discapito delle subculture.
C’è poi la visione populista (e anche Marxista), in cui le differenze culturali diventano divisioni sociali di cui il potere approfitta, in una sorta di “divide et impera”. Da qui all’estremo anarchico in cui ogni subcultura vorrebbe autogovernarsi il passo è breve.
Harari propone un modello più articolato, in cui una cultura comune tende a creare “verità” intersoggettiva mentre una burocrazia efficiente tende a creare un ordine sociale. La cosa interessante del modello di Harari è che il potere può derivare sia dalle “verità” dal basso, come nei sistemi che gestiscono l’informazione democraticamente, che dall’ordine impartito dall’ alto, come nei totalitarismi, in cui l’informazione è centralizzata e controllata. Questo modello spiega dunque entrambi i tipi di società.
3. Diffondere competenza
L'evoluzione dei contenuti informativi che via via vengono mediati e gestiti da una società dipende da almeno due fattori. Da una parte c'è il miglioramento dei supporti mediatici, che permettono la diffusione tecnica delle informazioni (burocrazia): racconti, simboli, scrittura o audio/video permettono tutte una specifica diffusione dei messaggi. Dall'altra c'è la selezione del tipo di contenuti che devono essere mediati e diffusi (cultura comune). Questo fattore richiede che ci sia qualche meccanismo all'interno della società che seleziona quali contenuti devono essere diffusi e soprattutto con chi. Ad esempio una società potrebbe avere necessità di condividere storie sui suoi antenati, oppure opinioni sull'operato del governo e condividerle solo con i parlanti di una stessa lingua, oppure soltanto con chi sa leggere, oppure con tutti. Le società che imparano per prime a gestire l'informazione in modo nuovo, o a gestire più informazione delle altre, hanno come vantaggio competitivo un maggiore controllo sui tipi di contenuti che vengono diffusi e un maggiore monitoraggio dei propri processi interni. Tutto questo contribuisce a formare una società più competente e solida.
Sia la “verità” che l’ordine servono proprio a questo: a diffondere competenze di base. Alla fine, le conoscenze che si possono condividere con più persone e le competenze che si possono spendere bene, diventano informazioni utili e circolano molto più facilmente di quelle considerate inutili. In questo modo si plasma e rafforza la cultura comune. Se usata bene, la circolazione di queste informazioni può rendere le persone mediamente più competenti o specializzate, cosa che aumenta sia le possibilità di adattarsi all’ambiente sia i livelli gerarchici nell’amministrazione del potere, aumentando così i posti di lavoro ben retribuiti. Ed ecco una possibile spiegazione (probabilmente non l’unica) della correlazione tra i livelli gerarchici e la gestione dell’informazione.
Nei prossimi post analizzerò i diversi livelli evolutivi delle tecnologie di gestione dell’informazione alla luce di quanto visto fin qui, iniziando dalla tradizione orale e pettegolezzo.